Verso una globale inclusione delle persone LGBT nelle comunità cattoliche: un nuovo approccio teologico

Presentazione di James Alison per “Le strade dell’amore”, una conferenza internazionale per una pastorale con le persone omosessuali e trans. (Roma, Italia, 3 ottobre 2014).

English

Introduzione

Vorrei chiedervi di unirvi a me nell’immaginarci partecipi di una scena familiare tratta dalle Scritture. La scena è degli Atti degli Apostoli, capitolo 10, ma vi invito a pensare agli eventi descritti come se fossero accaduti circa una settimana fa. Siamo nella casa del centurione romano Cornelio. Potremmo essere dei familiari, dei servi o degli schiavi. Insieme a Cornelio, siamo a lungo stati abituati ad essere cittadini di seconda classe nella casa di Dio. Quando accompagniamo il padrone in Sinagoga siamo chiamati “timorati di Dio” e ci è concesso entrare e seguire la celebrazione da un posto accuratamente separato. Ciò avviene perché, sebbene sappiamo che il Dio di Israele è l’unico vero Dio e seguiamo con attenzione i precetti di Mosé, non ci siamo completamente convertiti. Non siamo stati quindi circoncisi, se maschi, o non abbiamo adottato a pieno il giogo delle leggi di Mosé con i suoi riti e comandamenti.

Ci rechiamo al rito, quindi, consapevoli di essere considerati impuri e da non toccare. Siamo spesso trattati con cortesia e anche con genuina cordialità dai membri, anche se ciò è costantemente contraddistinto da una certa distanza e degnazione, come si addice quando si tratta con membri non veri che non possono essere pienamente partecipi.

La scorsa settimana però è accaduto qualcosa di strano. Cornelio ha mandato tre di noi da Giaffa per invitare un certo Pietro. Questi ha accettato l’invito ed è venuto veramente a casa nostra, il che era di per sé una stranezza dato che lui era un religioso osservante e non un gentile come noi. Non era un errore: era molto determinato nel dirci che, benché noi sapessimo non fosse lecito “per un Giudeo unirsi o incontrarsi con un gentile”, era convinto che “Dio mi ha insegnato a non considerare nessuno impuro o profano”.

Quando Cornelio lo ha invitato a parlare, ci ha detto che in verità si era reso conto “che Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia è a lui accetto”. Dopo ci ha raccontato di un messaggio di pace che era stato inviato a Israele e di cui avevamo già sentito qualche accenno. Il messaggio era stato consegnato attraverso qualcuno di nome Gesù, l’unto. È venuto fuori che Pietro era un amico di Gesù di Nazareth, che era stato un profeta con grandi poteri. Quest’uomo era stato messo a morte come sedizioso blasfema, come se sotto una maledizione di Dio. Ma Dio, resuscitando Gesù dai morti, aveva mostrato che la cosiddetta maledizione, di cui abbiamo letto nella Torah di Mosé [1], non aveva nulla a che fare con Lui. Dal giorno della sua resurrezione, Gesù fu visto da molte persone che erano state con lui e che avevano cenato e bevuto con lui prima della sua morte. Divenne chiaro che era lui il tanto atteso compimento di una serie di profezie, sebbene le avesse realizzate in un modo che nessuno si sarebbe mai aspettato. Esser stato trattato dai religiosi osservanti come qualcuno da condannare e, in realtà, essersi rivelato come colui che agiva nella piena approvazione di Dio ha sconvolto molto il modo di comprendere Dio tra i religiosi della sua gente.

All’inizio non era chiaro se Pietro avesse pienamente compreso che Dio non ha preferenze in quanto pareva stesse raccontando qualcosa che riguarda Israele. Certamente non l’avevano capito affatto gli uomini che aveva portato con lui. Tuttavia, mentre Pietro parlava, ci siamo ritrovati tutti all’interno di un grande movimento dello Spirito a glorificare Dio e a parlare strane lingue. Eravamo tutti sorpresi, specialmente quelli che erano venuti con Pietro poiché avevano già visto una cosa simile, ma solo tra i circoncisi. Non riuscivano a credere che stesse accadendo anche tra noi cittadini di seconda classe.

Tuttavia, mentre la scena si svolgeva e diveniva chiaro che quanto Dio aveva detto a Pietro sul non avere preferenze tra persone e sul non dover chiamare nessuno impuro o immondo era assolutamente vero, molto più vero di quanto Pietro sembrava aver capito inizialmente, noi scoprimmo di essere parte di questo movimento dello Spirito proprio come lo erano lui e gli altri, nello stesso identico modo in termini di uguaglianza e senza alcuna distinzione. Ciò che è stato anche più sorprendente per tutti noi è stato vedere come il tutto ha spinto Pietro a dire ai suoi di battezzarci.

Avevamo già sentito parlare di questo dono: al momento del battesimo, alcuni circoncisi avevano condiviso la sensazione di sentirsi coinvolti nella vita e morte di Gesù scoprendosi incoraggiati a essere figli e figlie di Dio e diventando parte di un popolo sacerdotale che Gesù aveva inaugurato nella sua vita e morte e che era, in realtà, il compimento di ciò cui Israele era sempre stato chiamato. E Pietro, nella casa del nostro padrone, improvvisamente ha riconosciuto che la sostanza del battesimo si era palesemente manifestata tra noi gentili. Quindi, come poteva lui negarci il dono stesso? Di conseguenza ha chiesto ai suoi compagni di battezzarci con acqua. E noi ci siamo meravigliati nello scoprirci appartenenti alla vita di Dio condividendone la sua santità senza alcuna distinzione basata su precedenti convinzioni nostre o di Pietro su ciò che era necessario per essere un membro della vita di Dio.

Bene, ognuno di noi era scioccato tanto quanto chi ci era accanto: i cittadini di prima classe si sono ritrovati sul nostro stesso livello e a dover superare una certa ripugnanza nel dover aver a che fare con noi, con il loro senso di purezza e separatezza completamente sgonfiato; i cittadini di seconda classe si devono abituare all’idea di prendersi sul serio e comportarsi come figli e figlie di Dio invece che da sporchi servitori minori che hanno una sorta di innata scusa per la loro impurità.

Come è facilmente immaginabile, una notizia come questa si è diffusa molto velocemente. Alcuni degli amici e dei colleghi più scrupolosi di Pietro erano alquanto contrariati e pensavano che Pietro, che era noto per la sua impulsività, era stato in qualche modo frivolo nel comportarsi in quel modo. Conseguentemente, Pietro ha dovuto spiegarsi dinanzi a loro a Gerusalemme, ma fortunatamente non si è tirato indietro. Anche se c’era una forte pressione su di lui perché ritrattasse e si scusasse per ciò che aveva fatto (salvando la faccia di coloro che veramente hanno bisogno dell’esistenza di persone come noi per sentirsi speciali). In realtà ha detto loro tutto molto chiaramente: “Lo Spirito mi ha detto di andare con loro e di non fare distinzione tra loro e noi”. Pietro ha descritto anche come lo Spirito Santo fosse disceso su di noi mentre parlava e di come si era reso conto di una cosa: “Se Dio ha dato loro lo stesso dono che Lui ci aveva dato quando credemmo in Gesù Cristo, chi sono io per ostacolare Dio?”. Ciò ha fornito un importante spunto di riflessione e lentamente hanno iniziato a comprendere che anche noi possiamo essere inclusi nello stesso dono del perdono, con la vita che da esso scorre [2].

Dunque, questo è accaduto qualche giorno fa… Stiamo ancora aspettando di vedere le conseguenze e come sarà per noi tutti esser parte della Casa del Signore, figli e figlie con la stessa dignità che condividono un sacerdozio il cui unico requisito di purezza è nel cuore. Sarà interessante vedere se abbandoneranno le loro regole sul cibo per noi, se considereranno la nostra struttura familiare uguale alla loro per quello che conta come matrimonio vero. Cosa penseranno di noi che non dobbiamo circonciderci e che non dobbiamo osservare tutti i comandamenti che compongono il loro codice di purezza? E cosa ne faremo noi della libertà di riscoprirci cittadini di prima classe, membri, figlie e figli, non servitori o esterni alla vita di Dio, partendo da come siamo? Quale sarà la forma della santità che discenderà su di noi?

Credo che questo racconto rende il senso di dove ci troviamo noi cattolici LGBT in questo momento e vorrei sviluppare con voi quattro punti conseguenti.

1. Una questione di Cristianità elementare

Innanzitutto, per via di quanto ci è successo negli ultimi anni in qualità di cattolici LGBT, ci è diventato sempre più chiaro cosa erano queste scosse generate dalla morte e resurrezione di Gesù. Costui con i suoi insegnamenti e con i suoi potenti doni aveva portato testimonianza a Dio, che non aveva niente a che fare con un codice della purezza e nessuna tolleranza per un qualsiasi esercizio religioso, quali i sacrifici, che si frapponeva alla riconciliazione tra esseri umani che Lui desiderava portare. Lui aveva comunque un forte interesse per coloro che erano considerati inaccettabili dalla società dei suoi giorni. Alla fine fu considerato blasfemo e sedizioso dall’insieme delle autorità civili e religiose e fu assassinato. La sua uccisione fu eseguita in un modo tale che cadesse ufficialmente sotto la maledizione di Dio.

La sua resurrezione fu molto più che la dimostrazione dell’esistenza dell’aldilà, qualcosa in cui molti dei suoi contemporanei credevano già. Fu la rivendicazione che dall’Alto l’intera struttura politica e religiosa che lo aveva messo a morte veniva posta sotto il giudizio di Dio. In altre parole, che lui, Gesù, che era stato visto a tutti gli effetti come un blasfemo e sedizioso trasgressore, aveva detto la verità su Dio quando predicava. Ciò significa che chiunque, indipendentemente dalla sua nazionalità, percepisca di essere stato coinvolto in qualche modo in una sorta di falsa e violenta costruzione del bene e del male, che Gesù ha sconvolto, può essere perdonato ed entrare a far parte della vita del Dio vivente senza uno speciale segno esterno evidente.

È per tale ragione che non c’è, formalmente parlando, nessuna legge religiosa cristiana. L’immagine di Se stesso che Dio ci ha mostrato in Gesù non era quella di un legislatore, ma quella della vittima auto donatasi alla cospirazione dei legislatori civili e religiosi. Considerata questa auto definizione di Dio, nessuna definizione delle persone non fondata su chi sono realmente, che li potrebbe catalogare come puri o impuri, sacri o profani, può essere valida. Vi è invece l’unico chiarimento che, partendo esattamente da dove siamo e come siamo, siamo invitati a diventare figlie e figli di Dio e a far parte della casa di Dio. Ciò che Dio definisce buono non è qualche esterna definizione che soddisfa un certo legislatore, ma ciò che è buono per noi. Che ciò che è umano è amore e diventa, attraverso lo stesso amore, condivisione della vita di Dio. Non è potando parti di noi stessi, psicologicamente o fisicamente, che siamo salvati, ma è piuttosto nello scoprirci e diventando ciò che eravamo sempre stati destinati ad essere che giungiamo a riflettere la gloria del nostro Creatore, nonostante la molto ridotta versione di noi stessi in cui ci eravamo incastrati e da cui la morte e la resurrezione di Gesù ci ha liberati con clamore.

Questa è stata esattamente la nostra esperienza come cattolici LGBT negli ultimi trent’anni circa. È diventato sempre più chiaro, fin al punto dall’esserlo in maniera schiacciante, che ciò che sembrava essere una descrizione ultra evidente di noi era in realtà un errore. Eravamo contraddistinti in qualche modo come difettosi, patologici o persone etero viziate; intrinsecamente eterosessuali che soffrivano di una bizzarra ed estrema forma di eterosessuale concupiscenza chiamata “attrazione per lo stesso sesso”. Questa descrizione che ci trasformò in pratica in cittadini di seconda classe nella casa di Dio è molto semplicemente falsa. Sembra infatti che siamo benedetti nell’essere portatori di una variante non patologica minoritaria nella condizione umana non particolarmente rilevante e che la nostra affiliazione a Dio discende su di noi per come siamo, con questa piccola ma significante variante che caratterizza chi siamo. Un’ulteriore caratteristica che dà graziosa forma a chi siamo chiamati a essere. Naturalmente, l’affiliazione trasforma la caratteristica in qualcosa di più quando superiamo la concupiscenza, che è propria di tutti noi umani, sviluppando e umanizzando la nostra capacità di amare così da raggiungere una più piena condivisione della vita di Dio.

Ciò costituisce qualcosa di significativo: l’unico modo in cui un insegnamento può essere veramente cattolico è se porta alla mente qualcosa che veramente ha a che fare con gli esseri umani in questione. Pertanto, nel momento in cui diventa chiaro che ciò che sembrava essere un’accurata descrizione di chi siamo, una descrizione che immaginava di cercare il nostro bene, non è in realtà accurato, ma semplicemente un errore, in quello stesso istante non è più possibile sostenere che quell’insegnamento che deriva da quella descrizione è cattolico perché l’insegnamento cattolico segue la scoperta di ciò che il Creatore ci mostra come vero.

In altre parole, come nel libro degli Atti degli Apostoli, lo Spirito Santo non aspetta il permesso di Pietro per accogliere nuovi figli e figlie di Dio. Al contrario! Pietro infatti impara che ciò che aveva pensato essere vero della santità di Dio e della necessità di osservare il libro del Levitico per entrarne a far parte non era corretto. Come Pietro apprende questo insegnamento il codice della purezza assume una valenza relativa e viene ad essere percepito come una serie di tabù non vincolanti: contiene dei modi di definire le persone fondati sull’esteriorità invece di considerare chi sono queste persone e partendo dalle stesse.

Noi ci troviamo proprio a questo punto: non c’è nulla che Pietro e i suoi compagni possano fare per fermarlo. Come il Creatore ci ha abbondantemente chiarito qual è il caso, attraverso un normale processo umano di apprendimento della creazione illuminato dallo Spirito per cui noi entriamo a far parte della Sapienza di Dio, così l’insegnamento che ci vede portatori di un obiettivo disordine che ci induce ad atti intrinsecamente maligni si è rivelato un tabù e, quindi, non da Dio e, di conseguenza, non un vero insegnamento cattolico.

2. Cattolicità invece che inclusione

Il mio secondo punto è cercare di definire delle conseguenze. Mi avete chiesto di riferire rispetto al tema “Verso una globale inclusione delle persone LGBT nelle comunità cattoliche” e tuttavia l’approccio teologico che io vi propongo non è in realtà di inclusione delle persone LGBT nelle comunità cattoliche, più di quanto il racconto di Atti 10 non sia di inclusione dei gentili nelle comunità ebraiche: non un esempio di elemosina in cui cittadini di seconda classe chiedono e ottengono degli umili posti ad un tavolo di prima classe. No, siamo in presenza di una straordinaria realizzazione per cui, chiarito che siamo semplicemente portatori di una variante minoritaria non patologica e non particolarmente rilevante della condizione umana, ci ritroviamo a cercare il Signore e ad essere portatori della Cattolicità in termini di uguaglianza con qualsiasi altro individuo. La Cattolicità viene ridefinita non per merito nostro ma per l’oggettivo elemento di umanità che noi portiamo al tavolo semplicemente essendo presenti come tali.

Perché ciò è così importante? Perché significa che non siamo noi che ci dobbiamo adattare alle regole di casa di qualcun altro. Tutti noi nella casa ci troviamo a doverci adattare al fatto che, con Pietro, stiamo tutti imparando qualcosa di nuovo dell’essere umano e che la nostra comprensione del bene e del male, per chi sta dentro e chi sta fuori, cambierà in virtù di questo. Il processo è ovviamente molto più difficile e doloroso, almeno inizialmente, per coloro per cui era importante promuovere una forma di pubblica “bontà” in cui noi eravamo giocatori marginali ed esempio necessario di ciò che era sbagliato. Sarà invece molto più gioioso per chi di noi scopre che dopotutto stavamo solo dicendo la verità. Non è vero, come spesso ci veniva detto, che siamo particolarmente auto-indulgenti, che il nostro amore è dannoso per gli altri, che siamo pazzi a pensare di essere normali o che l’edonismo e il relativismo ci ha condotto a desideri puramente soggettivi e irrealistici che fanno parte di una trappola disumanizzante.

Vi prego di notare cosa accade man mano che l’opera dello Spirito diventa evidente e che la nostra partecipazione come membri aggiunti del racconto cattolico della verità diventa palese. Innanzitutto c’è odio e rabbia da parte di quelli che avevano investito molto in ciò che appariva venire da Dio ma che si è rivelato essere un altro tabù idolatra che richiede sacrifici. Queste persone hanno bisogno di aiuto e compassione, della nostra magnanimità invece che del nostro risentimento. Soprattutto non dovremmo cercare di provocarli o scandalizzarli, anche se è allettante. In secondo luogo c’è qualcosa di più sottile a cui credo dovremmo guardare attentamente. Ciò viene da coloro che non sono pieni di odio ma che amano le vecchie bisacce. Queste persone vorrebbero dire cose del tipo “Beh sì, capiamo che c’è stato un problema riguardo a come la Chiesa ha trattato le persone gay nel passato e nessuno di noi vuole che ciò si ripeta. Comunque la Chiesa ha il diritto nelle società tolleranti e multi culturali a non essere definita da ciò che in realtà è vero a proposito degli esseri umani. Noi rivendichiamo il diritto a mantenere vivo il nostro pio modo pio di fare le cose senza interferenze”.

Ma è qui che nasce il problema: nel momento in cui le persone scelgono questa via rifiutano la Cattolicità e creano una Chiesa a propria immagine. Queste persone stanno trasformando la Chiesa cattolica in un gruppo definito da certe regole della casa che sono indipendenti dalla realtà. In altre parole, stanno creando una forma di santità che va contro coloro che sono considerati impuri e profani. Ciò costituisce una regressione al giudaismo del secondo tempio. Nel momento in cui le persone fanno ciò si escludono automaticamente dalla Cattolicità della Chiesa perché stanno cercando di trasformarla non nel segno concreto del desiderio di Dio di riconciliare a sé tutti gli uomini per mezzo di Gesù, ma in un segno della loro propria intenzione di costituire un gruppo con una forte identità e dei confini marcatamente segnati circa chi è dentro e chi è fuori.

Vi imploro pertanto a non pensare che, solo per un’errata cortesia, queste persone definiscono cosa è la Cattolicità. La Cattolicità è definita solo da Dio perché Dio ci stupisce frantumando tutte le nostre barriere sociali e culturali rivelandoci la verità per cui siamo fratelli e sorelle di Gesù, creando in maniera ugualmente sentita un modo di essere umano che non conosce forme di comparazione e che scorre da Gesù crocifisso che ci perdona.

Un’altra leggera variante sul tema viene da coloro che dicono: “Sì, c’è qualcosa di sbagliato nel modo in cui la Chiesa ha trattato le persone LGBT, ma non dovreste avere fretta di cambiarlo. Lasciate che la gerarchia organizzi, nel modo più appropriato e pacifico possibile, ogni cambiamento necessario”. Questo è come dire che coloro che non sono neanche capaci di riconoscere pubblicamente che noi abbiamo sempre detto la verità e che hanno sempre accecato le nostre coscienze usando un tabù devono continuare a gestire un cambiamento verso la verità secondo il loro programma. Vorrebbero che fosse così! Questo non è come opera lo Spirito di Dio, come dimostra il racconto degli Atti. Lo Spirito ci conduce alla piena verità scalciando, protestando, sconvolgendo e scardinando con l’audacia della parola quando è sconveniente e quando non lo è. Quelli che sono più sorpresi ed accorrono per ultimi sono coloro che credono che il cambiamento dovrebbe essere da loro gestito e alle loro condizioni, preferibilmente senza perdere la faccia dovendo ammettere che anche loro hanno bisogno del perdono.

No, la verità non aspetta la convenienza di quelli associati con la non verità prima di manifestarsi. Essa evade, come dalla cattività, portando testimonianza a Chi l’ha mandata per farla circolare libera tra noi e ci porta su una giostra divertente. Lo Spirito porta la pace che viene con la verità, ma non seguendo l’agenda di chi con la loro paura lo trattengono. Pietro fu veramente petrino ascoltando lo Spirito e riconoscendo di aver sbagliato sulla santità. Facendo ciò divenne un centro di unità apparentemente precario, ma in realtà una roccia contro tutte le forze reagenti che cercarono di colpirlo. Né lui, né i suoi colleghi stabilirono un’agenda o un calendario.

3. Preparazione per l’evangelizzazione

Il mio terzo punto è come è vista la nostra vita nelle diverse culture? Una delle cose che le persone dicono è “Tutta questa questione delle persone LGBT è un valore decadente del mondo occidentale e noi dovremmo difenderci”. Ma le persone da cui si stanno difendendo non sono occidentali decadenti, ma i loro stessi fratelli e sorelle, ugandesi, nigeriani, iraniani, russi, sauditi e giamaicani. Questi sono fratelli e sorelle che hanno scoperto qualcosa di vero su loro stessi e la loro capacità di amare e sanno che ciò che è vero ha senso per loro. Ecco qualcosa di notevole: scoprire la verità è lavorare nel modo in cui il Vangelo ha detto che avrebbe fatto e seguire la dinamica dello Spirito che scende su di noi da Gesù. E tuttavia, stranamente, leader cristiani di tutte le denominazioni si uniscono a capi religiosi di altre organizzazioni, che non solo non conoscono lo Spirito Santo, ma che addirittura si oppongono alla sua esistenza e al suo effetto illuminante. Tali leader preferirebbero circondarsi di trappole della religione piuttosto che diffondere la buona novella di Colui che ha relativizzato tutte le formalità religiose per portare tutti in una nuova umanità, a cominciare da precari ed esclusi.

Ciò significa che noi cattolici LGBT possiamo stare nelle prime file dell’Evangelizzazione che Papa Francesco ci ha chiesto e possiamo farlo da felici destinatari di questa nuova umanità. Noi, come chiunque altro, sappiamo come lo Spirito di Dio ci umanizzi non distruggendo la cultura ma depurandola da tutto ciò che è violento e distruttivo in noi umani. Grazie a Gesù sappiamo che non esistono cibi religiosamente puri o impuri, precetti forme religiosi di mutilazioni genitali o di altro tipo. Sappiamo che solo la cultura, e non Dio, ha preteso il velo per coprire la gloria della testa e dei capelli delle donne. Lo stesso Spirito ci ha insegnato tutto ciò, mettendo a nostra disposizione ciò che è realmente vero, consentendoci di scoprire la graziosa banalità della nostra variante di minoranza e lasciando che desse forma al nostro amore che ci trasforma in testimoni della bontà di Dio mentre ci protendiamo verso coloro che soffrono di terribili ingiustizie e privazioni.

Questo non significa che siamo solamente in grado di trasmettere un messaggio agli altri, ma che siamo portatori della Cattolicità nella nostra carne. Ci riscopriamo pronti ad essere annunciatori del Vangelo precisamente per effetto dell’essenza cattolica: siamo stati intrinsecamente parte del processo di auto correzione della cultura, che è il modo in cui lo Spirito mantiene la Chiesa viva e fedele. Pertanto, in qualsiasi cultura noi viviamo siamo nella vantaggiosa posizione di aiutare i nostri fratelli e sorelle ad abbattere i tabù locali e particolari, la violenza e le strutture che mascherate nelle sembianze di Dio sono in realtà opera degli idoli. Chi avrebbe pensato che sarebbero stati i cattolici LGBT a portare testimonianza alla freschezza del Vangelo, al modo in cui rende viva la Creazione e, persino, al valore della legge naturale non come trappola ma come avventura? A proposito di pietra scartata dai costruttori!

4. Santità, parola e testimonianza

Vengo ora al mio ultimo punto. Qual è la forma in cui la Santità discende su di noi? L’effetto più debilitante del tabù che ci ha perseguitato non è la proibizione di certi atti sessuali. Quello non ha mai trattenuto alcuni di noi, neanche, come è diventato evidente, molti di quelli che avevano assunto il pesante impegno di evitare certi atti. No, l’effetto debilitante del tabù, come per ogni infezione da idolatria, è il danneggiamento dell’immaginazione che rende impossibile vedere il bene. Quando la nostra concupiscenza fu erroneamente definita come una forma oggettivamente disordinata del desiderio eterosessuale, tutti i nostri atti furono visti come cattivi e non avevamo nessun incentivo a umanizzarli. “Niente spuntini tra i pasti” può essere un’utile indicazione se insegna alle persone a godersi meglio il prossimo pasto, ma “Niente spuntino tra i pasti e, nel vostro caso, per voi neanche nessun pasto” è una sicura ricetta per un’abbuffata di spuntini.

Ma ora, grazie al cielo, stiamo cominciando a scoprire quale potrebbe essere la forma del pasto, o dei pasti, verso cui potrebbe valer la pena di indirizzare il nostro appetito. Quindi, per favore, nel processo di riscoperta della forma della Santità che sta scendendo su di noi, ora che non siamo più cittadini di seconda classe con la scusa del vittimismo risentito per la nostra mancanza di dignità, lasciamo che la nostra immaginazione sia ravvivata dallo Spirito. Stiamo già sperimentando alcuni modi in cui possiamo condividere il donarsi di Gesù agli altri: matrimoni civili, adozioni di bambini e, in alcuni casi, la libera scelta della vita da single. (Quest’ultima era chiaramente impossibile secondo gli insegnamenti del tabù: ci veniva detto che non avevamo altra scelta che il celibato e, quindi, l’opzione non era certamente libera perché non si trattava di rinunciare a un bene per un altro bene, ma di evitare il male che era il nostro dovere solenne in ogni caso). In quali altri modi scopriremo di esser chiamati a diventare una benedizione per gli altri?

Ecco un indizio: non lasciamo che il santo lavoro della ravvivata immaginazione sia adombrata da chi preferirebbe evitare la discussione sul nostro essere veramente oggettivamente disordinati o meno. Nel Nuovo Testamento, chi insisteva sulla necessità che i gentili fossero circoncisi per essere salvati aveva niente di genuino da offrire al dibattito sulle forme appropriate di santità per i gentili battezzati. Allo stesso modo, chi non può concederci la legittimità (il necessario per la purezza) del nostro amare che proviene da chi siamo non può neanche offrire un aiuto nel nostro processo di comprensione di quali leggi matrimoniali e sull’adozione sono adatte per noi, per non parlare delle forme liturgiche che potrebbero essere appropriate.

Molte autorità religiose in diversi Paesi cercano di nascondersi dietro il proclama che “difendendo il matrimonio” loro non stanno facendo o dicendo niente contro i gay e le lesbiche. Se sono sinceri in proposito, che dimostrino che la loro coscienza non è legata al tabù, che rinuncino alla nozione per cui i gay in una relazione, di cui sostengono di non parlare, indulgono ipso facto ad un disordine oggettivo, sono gravi peccatori impenitenti e stanno cercando di santificare qualcosa che non può mai essere approvato. Una volta che queste autorità hanno dimostrato che la loro coscienza è libera e, quindi, che non c’è, nel loro intendimento, alcuna rivalità tra la forma adatta per gli eterosessuali di prosperare nel matrimonio e le forme che potranno rivelarsi prospere per noi, allora potranno avere qualcosa di genuinamente utile da offrire a tutti noi perché saranno legittimamente in grado di contemplare qualcosa di come, nel nostro caso e nel loro, la grazia perfeziona la natura. Mi riferisco a quel qualcosa che proviene da chi siamo e non dal nonostante ciò che siamo. Comunque, finché saranno fedeli al tabù, non possono essere giudici della nostra prosperità.

No, la verità e la pace, la spinta verso il reale, che viene dalla consapevolezza di essere una figlia o un figlio di Dio, sono la fonte dell’immaginazione della forma dell’arduo bene cui aspirare e nella cui realizzazione speriamo di essere trovati. La verità che promana dal poter parlare con una coscienza libera non è un’estrinseca aggiunta all’essere Cristiano. È intrinseco al significato stesso di Cristiano e comprendere il portare testimonianza, senza cui non c’è Cristianità. Per noi animali linguistici, parlare chiaramente e apertamente è essenziale al poter vivere di conseguenza. È attraverso il parlare e il condividere con gli altri le esperienze dell’amore e del diventare che scopriremo nelle nostre relazioni ciò che siamo chiamati ad essere.

Eccoci riuniti nella città di Pietro. Chiediamo all’apostolo Paolo, che non ha avuto paura di rimproverare Pietro di ipocrisia e che ci ha insegnato che tutto è puro per i puri – Omnia munda mundis – di pregare per noi.

Endnotes

[1] Cfr. Deuteronomio 21,23.

[2] Cfr. Atti 10,11.


© James Alison. San Paolo, Agosto-Settembre 2014.
Tradotto da Claudio Abate.